domenica 26 gennaio 2020

The Existential Art: Tevis Thompson, la critica di videogiochi


NB. Questo estratto è da considerarsi un'appendice all'articolo su Tevis Thompson presente sulla rivista Ludenz#1, reperibile al seguente link:

"Continuo ad attendere l’arrivo dei nostri critici di videogiochi per i nostri Giochi dell'Anno, per le ultime novità dei nostri franchise più amati creati dai nostri designer più riveriti, per vederli esprimersi senza l'indulgenza da fan, senza un cuore da apologeta, senza pietà, per vederli mettere tutti al muro. 
Ma no, i nostri critici, anno dopo anno, rifiutano rispettosamente. Non si può chiedere loro di criticare seriamente. Mancano di giudizio, immaginazione, confidenza, gusto.

I critici mainstream restano intrappolati tra le presunte aspettative dei loro lettori e gli assedi insidiosi dell’essere loro stessi dei fan. Dopo una lunga abitudine ad auto-censurarsi, si barcamenano tra le implicite richieste dei commentatori (dimmi qualcosa di carino) esprimendo opinioni acute quanto il budino. Quando non abdicano dalla loro responsabilità di dover giudicare i giochi più scomodi, s’aggrappano a rudimentali nozioni di valore, mettendo magari in discussione la lunghezza di un gioco ma non ad esempio la grottesca violenza sessuale che contiene. Quando alla fine si decidono a lavoricchiare, trattano delle promesse da PR non mantenute o dei diritti dei consumatori. (…)

I critici accademici non sono meglio. Quando non offrono le loro opinioni pignole o non sguazzano nell'ambivalenza, indossano la loro armatura teorica e giocano a fare l'antropologo che osserva spassionatamente gli indigeni digitali, quasi stessero rispettando una Direttiva Primaria. Non conta quanto i loro gusti siano sottovalutati. Al peggio si ritirano del tutto dall'umano e consigliano di resistere alla "tentazione dell'identificazione personale" a favore della "partecipazione a sistemi più grandi di noi". In pratica, il vecchio argomento dell'obiettività reso intellettuale per coloro che, ad un qualche livello, hanno rinunciato alle persone. Ma Dio sa che la soggettività radicale non vi dà alcun mandato.

Ciò che questi critici – accademici o tradizionali – si rifiutano di esprimere è una risposta umana pienamente impegnata al gioco da trattare. Si nascondono in ogni modo e negano di essere loro stessi la misura critica in qualità di persone che giocano ai videogiochi. E così le questioni sulla dignità, sulla perdita di tempo, su quello che esattamente intendiamo quando affermiamo che amiamo i videogiochi, non possono nemmeno essere affrontate.
Il discorso critico sui giochi ci lascia quindi confusi, sconcertati, un po' in colpa, incerti sulle nostre esperienze videoludiche, nella speranza che i nostri giorni migliori siano ancora davanti a noi e terrorizzati che siano ormai rimasti dietro di noi. Speriamo nella loro grandezza quanto speriamo nella nostra, ancora e ancora. Perché i videogiochi sono, alla fine, personali. Sono così terribilmente personali. E lo abbiamo sempre saputo."

Da The Existential Art, di Tevis Thompson

Traduzione e adattamento di Luigi Marrone

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