The Last Guardian, terza opera dal game designer Fumito Ueda, è un’anomalia.
Un videogioco che proviene da un altro tempo, e che avrebbe potuto non esistere mai.
Come da tradizione Ueda, e per la precisione come avviene in ICO - prima opera del team capitanato dal game designer giapponese - si tratta della storia di un ragazzino che volente o meno diviene prescelto di una avventura di fuga da un luogo contaminato dalla magia, un ambiente sperduto e intriso di maledizioni che nel tempo lasciano segni, effetti sul corpo, nell’inconscio e nei sogni del giovane protagonista.
STORIE DI MAGIA
C’è un ragazzino, c’è una grande bestia alata dalla natura felina e volatile. E c’è un ambiente da cui fuggire. The Last Guardian esaspera il concetto di companion iniziato nel 2002 con ICO per condurlo verso nuove vette, più ossessive e per certi versi ancora più emotive, dato che il referente in questo caso è un animale che si fa ricettacolo di un componente estremamente difficile e prezioso da ottenere in un medium quale il videogioco: l’affettività.
Se Yorda, la ragazza da portare in salvo in ICO era caratterizzata da una passività e una debolezza funzionali a stimolare la preoccupazione e la difesa del protagonista dagli assalti nemici, la logica che motiva il giocatore di The Last Guardian è completamente basata sul rapporto personale con un animale gigante, dotato di una reattività istintiva e naturale le cui risultanze affettive non si erano mai viste in nessun gioco creato.
The Last Guardian è una esperienza in cui il nostro companion è controllato da una IA complessa e indipendente da ciò che il giocatore compie nell’ambiente di gioco. Trico, questo il nome della specie leggendaria nel gioco, e quindi del nostro compagno piumato, acquisisce e sviluppa autonomamente, nel corso della SUA esperienza di gioco, una personalità adattiva verso quanto gli accade. Si tratta di un essere vivo, dotato di una personalità animale ben definita, caratterizzata quindi da istinto, fiuto e intelligenza emotiva. Riguardo al credere al soffio di vita che lo muove, e in genere alla sua vitalità, non si tratta solo delle migliaia di frame di animazione che rendono splendida e realistica la sua presenza. Ciò che risulta stupefacente in The Last Guardian è come si entra in rapporto con l’animale considerandolo sin dall’inizio quale cosa viva, meritevole di comprensione e affettività come avverrebbe per qualsiasi animale domestico. È uno statuto questo che non viene mai messo in discussione, quando solitamente si tratta del primo e naturale compromesso che marca il limite, nella consapevolezza del giocatore, nel distinguere la finzione di una Intelligenza Artificiale dalla realtà. Altrettanto stupefacente è come questa istanza di realtà viva che muove Trico la si dia per scontata, senza rendersi conto dell’immenso lavoro di routine di Intelligenza Artificiale che lo caratterizza.
Un esempio fra tutti sono i simboli degli occhi sulle vetrate mobili che costellano il mondo di gioco. Inducendolo alla ebete contemplazione e normalmente producenti un effetto di paralisi nell’animale, con il proseguire dell’avventura si verificano occasioni in cui Trico supera i propri condizionamenti coercitivi, imposti dal codice, e si scaglia al salvataggio del piccolo compagno, incurante che nell’ambiente vi siano altre vetrate attive nell’immobilizzarlo. Ciò avviene dopo il suo aver assimilato che la propria sopravvivenza dipende dalla incolumità del piccolo protagonista di gioco, e pertanto, vederlo minacciato lo induce a superare qualsiasi condizionamento passato.
Fra giochi di interni ed esterni, fredde mura e calda luce solare, castelli, zone d’acqua e bastioni, armature di nemici magici, strutture pericolanti e squarci di paesaggi che regalano visioni da altezze incommensurabili, un discorso particolare merita la funzione della telecamera aperta sul mondo magico e in rovina di The Last Guardian.
CAMERA ISSUES
Abituati ad un utilizzo libero della camera, e abituati soprattutto a non contemplare esperienze di puzzle solving ambientale così strutturate, è quasi naturale giungere e lamentarsi delle bizzarrie che la camera di gioco propone durante la decina d’ore utili per completare avventura.
Per i molti giocatori che non hanno metabolizzato o hanno dimenticato le grammatiche di gameplay di titoli del Team Ico sviluppati e riproposti sulle precedenti generazioni di PlayStation, sarà facile risultare spiazzati dinanzi alla imbrigliata discrezionalità dei movimenti di camera concessi da The Last Guardian. Eppure la camera di gioco è da considerarsi quale parte integrante del puzzle solving, e dunque del gameplay di The Last Guardian. Inquadrare gli elementi degli scenari vuol dire in questo caso non solo ottenere un focus più esaltato verso il particolare, ma altresì puntare l’attenzione dell’animale sulle possibili azioni da compiere per uscire da una impasse ambientale. Non essendovi poi un preciso script a caratterizzarlo, spesso è l’animale stesso ad anticipare la volontà del giocatore, autonomamente.
Per i molti giocatori che non hanno metabolizzato o hanno dimenticato le grammatiche di gameplay di titoli del Team Ico sviluppati e riproposti sulle precedenti generazioni di PlayStation, sarà facile risultare spiazzati dinanzi alla imbrigliata discrezionalità dei movimenti di camera concessi da The Last Guardian. Eppure la camera di gioco è da considerarsi quale parte integrante del puzzle solving, e dunque del gameplay di The Last Guardian. Inquadrare gli elementi degli scenari vuol dire in questo caso non solo ottenere un focus più esaltato verso il particolare, ma altresì puntare l’attenzione dell’animale sulle possibili azioni da compiere per uscire da una impasse ambientale. Non essendovi poi un preciso script a caratterizzarlo, spesso è l’animale stesso ad anticipare la volontà del giocatore, autonomamente.
Il problema però potrebbe risultare sempre il medesimo. The Last Guardian fornisce al giocatore la possibilità di vivere l’avventura assieme ad un animale realmente reattivo, istintivo, non dotato solo di strutture binarie “sì” e “no” che lo renderebbero prevedibile e scontato. Ma l’assuefazione ai videogiochi che regalano l’illusione di stabilire il ritmo dell’azione, ogni volta, donando una camera libera e la sensazione di controllo totale, può prendere il sopravvento.
PLAYGROUND VIVENTE
In The Last Guardian, Trico è il playground vivente dell’esperienza globale di gioco. L’ultima opera di Fumito Ueda si basa tutta sulla relazione - spesso imprevedibile, e di certo umorale - fra noi e l’animale. Imparare a conoscere questa relazione significa imparar ad amare la sostanza dell’universo di The Last Guardian.
Ideata e inizialmente destinata a precedenti generazioni di console, l’ultima opera di Fumito Ueda è una avanguardia esclusiva su PlayStation 4 standard, e ancora più stabile sulla versione Pro.
Si tratta di un appuntamento con la storia del videogioco assolutamente da non mancare.
PRODUTTORE: SONY
SVILUPPATORE: TEAM ICO, SCE JAPAN STUDIO
MULTIPLAYER: NO
FORMATO: PS4
LINGUA: Italiano (TESTI)
VOTO: 8,5



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