domenica 3 febbraio 2019

Starlink, le action figures, il videogioco: viaggiare dall’analogico al digitale.




N.B. Nell'ottica di Ludenz quale progetto di convergenza crossmediale, quella che segue è la trascrizione in forma testuale - corredata di link e immagini - dell'episodio#1 di Monocast, il format di podcast di Ludenz basato su monologhi di riflessioni afferenti alla cultura del video gioco.
È possibile ascoltare l'episodio integrale qui.

"Quando ho scelto l’argomento di cui trattare in questa prima puntata del nuovo format del podcast di Ludenz, ho pensato che fosse un tentativo di giustificazione personale dei miei ultimi acquisti effettuati in video games. In realtà le motivazioni vanno oltre quelle tese a giustificarmi per quanto ho speso, che alla fine s’aggira a né più ne meno a quanto si spende per un video gioco tripla A al day one a prezzo di lancio.
Ciò di cui mi premeva trattare - sempre riguardo al video game - era l’incontro fra la realtà fisica e quella digitale. Mi sono reso conto che tutto ciò che si pone sulla soglia, che è liminale e potenzialmente trascendente, tendenzialmente mi interessa. Forse perché lo ritengo magico, in qualche modo. Sta di fatto che esiste un preciso motivo per cui sono sempre stato sensibile al fascino di una possibilità: mi riferisco a quando un medium converge in un altro, e mostra il contenuto di un’opera in modo diverso. Penso ad un video gioco verso un romanzo, o un romanzo verso un videogioco, ad esempio. Ciò che prima poteva essere solo letto, e immaginato, adesso s’apre, si mostra, svela e regala un corpo digitale ad una realtà puramente immaginata. Più che di un compendio si tratta di una incorporazione transmediale, che corrisponde ad una nuova nascita. Per me è come legittimare con più forza una determinata realtà. Può sembrare strano, ma quando un libro viene trasposto e adattato in una diversa forma espressiva quale ad esempio il videogioco, è come se non si fosse più soli nella propria immaginazione, in ciò che prima cioè si è creduto solo immaginandolo. Questa attitudine, per certi versi questo bisogno, sviluppa una tendenza quasi morbosa verso il voler vedere, il voler toccare.
Ecco, affascinato da questo circuito, a me piace terribilmente scoprire come da altri autori, la mia immaginazione è stata interpretata. Tutto questo si tramuta e si esaurisce nel desiderio introverso e personale di scoperta, quasi di rivelazione che dalla immaginazione passa alla rappresentazione fisica della cosa immaginata.
E veniamo quindi al titolo di questo primo Ludenz Monocast: Starlink, le action figures, il videogioco: viaggiare dall’analogico al digitale.


StarLink. Battle for Atlas è stata la proposta Toys-to-Life presentata da Ubisoft durante l’E3 2017, e distribuita a partire dal 16 ottobre 2018. Parliamo di un videogame che permette, attraverso un adattore da installare sul controller e collegato via USB alla console, di connettere e switchare fra diverse astronavi composte di moduli intercambiabili – e mi riferisco per la precisione ad armi, piloti e ali.



Dopo aver acquistato alcune delle astronavi di Starlink, mi sono reso conto che tale desiderio era dovuto all’influenza di un certo immaginario pop videoludico e science fiction maturato negli anni. C’era sicuramente No Man’s Sky, i colori delle sue astronavi, il feeling in qualche modo delle sue battaglie, in quelle di Starlink. C’è il nome Atlas, l’entità cosmica così centrale in No Man’s Sky. C’è in qualche modo WipEout con le sue stilose aeronavi a sospensione antigravitazionale. C’è Everspace, Elite Dangerous… Insomma, Starlink è la concrezione di diversi immaginari, di un certo modellismo spaziale, tant’è che non m’interessava tanto giocare o vedere le trasposizioni delle astronavi sullo schermo. Non a caso il gioco non l’ho nemmeno fatto partire.
Inoltre la fascinazione per la tecnologia NFC – Near Field Communication – che è alla base dei Toys-to-Life, credo sia stata superata a livello magico – se parliamo di videogiochi quale cerchio magico d’azione – dalla realtà virtuale che proietta e delocalizza il corpo all’interno del mondo digitale. Tra l’altro Starlink non utilizza nemmeno la tecnologia NFC, non effettua scan e non contiene tecnologia radio di prossimità. Semplicemente presenta connettori ad incastro che riconoscono l’identità e l’orientamento di ciascun pezzo, così da permettere di combinare in maniera modulare armi, piloti e ali sui vari corpi dell’astronave.
Ecco, per quanto mi riguarda, il feticcio da collezionista per me è rappresentato dal vedere queste astronavi occupare uno spazio fisico. Devono vedersi più che interagire dall’analogico al virtuale. Dovevo averle quale rappresentazione di un immaginario estetico – quali emblemi di una contemporaneità che sublima. Lo dimostra il fatto che sono stato restio ad acquistarle tutte. Non m’interessa avere una astronave che per le mie preferenze estetiche non possiede appeal. Così come non sono stato interessato al modellino di Arwing di Fox McCloud esclusivo per Nintendo Switch. Lo ammetto, non ho mai provato una forte affinità per gli animali antropomorfi di Star Fox di Nintendo, e la forte caratterizzazione dell’ArWing, immediatamente associabile al brand, me la rende non preferibile rispetto appunto all’anomimia delle astronavi originali di Starlink. Se ci fosse stato modo le avrei acquistate anche senza piloti, per dire. Tutto questo sempre a ribadire come sia più l’aspetto estetico – proiettivo – di un immaginario, rispetto e oltre quello incarnabile da un video gioco, a interessarmi.



Tempo fa scrissi un post per accompagnare l’arrivo dell’action figure del 2001 della McFarlane Toys di Motoko Kusanagi, il cyborg totalmente artificiale protagonista dei manga, dei film e dell’anime Ghost in the Shell. La prima volta che l’ho vista su ebay ero eccitato, perché non riuscivo a crederci: non solo perché incarnava perfettamente un’immagine nutrita e fomentata dall’immaginario cyber piantato ormai nel mio inconscio attraverso Ghost in the Shell, ma perché era la concrezione di un simbolo che poteva davvero sublimare il bisogno di legittimare il virtuale attraverso il fisico, il reale.
Avevo sempre trovato volgari e avevo evitato le trasfigurazioni erotiche che riguardavano la logica di certe visioni maschiliste e sessiste del corpo femminile. La maggior parte delle action figure di Motoko Kusanagi sono seminude o tutte curve, a fare da specchio per allodole al maschio nerd acquirente sedotto dalle seduzioni/perversioni giapponesi hentai.
Io ho acquistato una versione usata, da esporre, e una nuova che ho ancora inscatolata. Ciò per far capire quanto fosse importante per me annoverare un assemblato in resina/plastica che sapesse esprimere un intero immaginario che s’era così intriso di virtuale che la sola legittimazione data dai fumetti o in forma audiovisiva cinematografica ormai non mi bastava.
Mentre attendevo la spedizione, scrivevo che l’acquisto di quella action figure era parte di una lunga ricerca tesa a trovare, cito, 

Qualcosa che avesse saputo scaricare il suo peso, e ingombrare e consacrare definitivamente lo statuto del suo universo culturale immateriale attraverso la sua manifestazione fisica materiale. Non un semplice feticcio, o un vuoto memorabilia dal sapore di giocattolame, bensì un artefatto di pathos carico, atto a trascendere e immortalarsi quale testimonianza fisica della propria controparte digitale.”

E continuavo scrivendo “Il coronamento è dato dalla sublimazione potente di una carica di tipo transferenziale. Qualcosa come un desiderio acceso, da troppo tempo fomentato, che finalmente si placa al pensiero di annoverare un simulacro concreto, tangibile, sostanziabile al tatto, e che finisce poi col trasformarsi in un merito, un onore, un tributo di riconoscenza verso ciò che tanto ha suggestionato. L’acquisto di un suo artefatto materiale è il tributo massimo, finale, decretabile ad un universo immateriale tanto amato

Perché questa premessa, per parlare delle astronavi di Starlink? Forse perché, da un punto di vista di analisi sociale, penso che in un mondo spettacolarizzato in cui oggi la fascinazione sta nel processo, nel guardare uno streaming live, nell’essere spettatori attivi e in cui si preferisce l’opera videoludica proprio per le possibilità di azione che offre, per i finali multipli, le scelte, e per il fatto di agognare idealmente ad essere opera aperta che tutto comprende, ad arte totalizzante quasi, ecco che io ricerco il prodotto fisso, materico, stabile, immutabile, da piazzare lì e rimirare.
È stato proprio riflettendo su tutto questo che ho cominciato a interessarmi del fenomeno dei Toys-to-life, che secondo me presumono di base aspetti pulsionali di cui dicevo prima.



Con Skylanders di Activision c’era l’idea di un portale cablato alla console che scansionava le action figures sbloccando le controparti giocabili nel relativo videogioco. Gli add-on disponibili erano uno sfacelo, e si poteva tranquillamente arrivare a spendere diverse centinaia di euro, cioè molto più di quanto solitamente si investe per un singolo videogioco. Questo era giustificato dal fatto che non stavi scegliendo un gioco, ma un’intera linea di prodotti, incluse le espansioni future. Ed erano prodotti esclusivi, perché i giocattoli funzionavano solo con altri giocattoli dello stesso genere all’interno di specifici ambienti di video gioco.
Starlink non propone un portale fisico dedicato per traslare l’oggetto in digitale, ma come detto prima, avviene tutto sul proprio controller. La visuale di gioco resta in terza persona, così da aumentare il feticismo per l’oggetto, dato che si può osservarlo sia sul controller che al contempo sullo schermo. Il concetto interessante dei Toys-to-Life di cui Starlink fa parte resta quello che il virtuale diventa protesi, appendice, estensione di un corpo simulacrale vero, fisico, la cui consistenza materica fissa viene tradotta in una mobile, interattiva e digitale. Ma nel concetto dei Toys-To-Life, vale a dire dal giocattolo alla vita possibile attraverso il medium digitale, esiste un sotteso interessante: e cioè che il digitale offrirebbe uno spazio d’azione più abbracciante rispetto alle potenziali avventure che la fantasia può eventualmente generare proiettandosi solo sul giocattolo esclusivamente fisico.



Tornando a trattare degli effetti delle action figure – quelle giuste - sulla sublimazione della carica per certi versi libidica che energizza certi immaginari, ho convenuto come dicevo che le astronavi di Starlink sublimavano il mio immaginario infettato da No Man’s Sky. È come se Starlink andasse a coprire una nicchia fisica che No Man’s Sky di Hello Games si prefigurava di fare in modo soltanto virtuale. Questo Starlink lo ha fatto, bisogna riconoscerlo, con la forza visionaria di Ubisoft Toronto, col potere finanziario che ha permesso alla multinazionale francese di investire tanto in prodotti fisici, oltre che tecnologici e di software. Va rimarcato che Starlink è il primo videogioco Toys-To-Life open world con una trama e un impianto di gioco massicci, per certi versi.
Io ero cosciente, quando è stato annunciato il progetto, che in un mercato che si muove verso un ecosistema completamente digitale, l'investimento richiesto per sviluppare, distribuire e vendere prodotti fisici è molto rischioso. Lo dimostra, dopo poco più di due mesi dalla sua distribuzione, l’abbassamento di prezzo dello Starter Pack che io ho acquistato a 20 euro su Amazon. Senza contare tutti i Toys, dalle astronavi ai piloti ai set di armi che risultavano scontati del 50%.
In ogni caso, parlando dell’estetica di Starlink, ho ovviamente apprezzato l’aspetto legato all’immaginario science fiction, che per target di età, e appeal, si pone in modo abbastanza distante da Skylander, Lego Dimensions o Disney Infinity. Oltre alla fascinazione science fiction c’è il fattore collezione, l’appeal tipico dei completisti – per cui va specificato che alcune catene di rivenditori offrono specifiche variazioni di astronavi così come altri piloti.
Ho trovato anche interessante come le logiche di Starlink costringano a continuare ad interagire fisicamente anche dopo aver collezionato ogni elemento, cioè dopo che astronavi, armi e quant’altro sono stati digitalizzati sullo schermo. Ogni controparte sbloccata in digitale resta in memoria, ed è possibile richiamarla senza bisogno di assemblarla fisicamente ogni volta. Dopo qualche giorno però c’è bisogno del reinserimento analogico, quindi di ripetere l’operazione sul piano fisico. Trovo questo interessante perché incensa l’aspetto socializzante generato dal reciproco scambio fisico.


Le astronavi poi sono ben fatte. Possiedono una loro risultanza estetica abbastanza accattivante, va detto. All’inizio, quando Starlink è stato presentato all’E3 2017 avevo creduto che le astronavi avessero parti in metallo, ma anche in plastica devo dire che fanno il loro dovere.
Riguardo infine alla realizzazione tecnica e alla estetica del loro design, qui si apre un discorso direttamente collegato al cuore di questa prima puntata di Ludenz Monocast, e che pertanto voglio affrontare.
Quando ci sono in gioco oggetti fisici, da reperire fisicamente, tutto in qualche modo si mischia all’aspetto dell’avventura: anche l’uscire fuori di casa per ricercare e acquistare qualcosa di fisico, magari girando diversi negozi per cercare i pezzi che non presentano sbavature, segni, rigature, per quanto possibile, è un aspetto dell’esperienza da non sottovalutare. Nel mio caso alcune astronavi avevano sbavature di colore sulle armi, dei segni sulla scocca, che alla fine poteva anche non essere un problema, dato che trattandosi di astronavi da battaglia, potevano benissimo rappresentare gli scontri avvenuti, le tracce di una guerra spaziale sul metallo, ad esempio. Eppure c’è stata questa ricerca, questo spirito di ricerca che mi ha condotto verso diversi negozi per scovare lo stampo perfetto. Ecco, questo aspetto è possibile solo in termini fisici, poiché un oggetto digitale è matematicamente il medesimo per tutti. Chiunque acquista in digitale armi, oggetti o DLC per la propria piattaforma di gioco, ha sempre la stessa, identica risultante estetica. È nella controparte fisica che possono ancora esserci differenze e può ancora avere un valore, l’oggetto, e risultare unico – fosse anche per una sbavatura che possiede.

Ecco, quando si verificano queste realtà di ricerca, a me piace l’idea di viaggiare mossi DA e in un certo senso assieme AL videogioco. È quasi un’avventura, il cercare i luoghi dove potrebbe esserci l’oggetto X o il prodotto Y e magari decidere di non acquistarlo e rivolgersi altrove. E l’aspetto del viaggio include anche ciò che concerne magari l’imbattersi in una bella giornata, prendersi un cappuccino al bar dopo l’acquisto, o incontrare la pioggia o la neve o qualcuno che si conosce… Può sembrare trascurabile, ma anche andare di sera rispetto al giorno cambia tutto il sapore, il gusto dell’esperienza. Ecco, nel video gioco, tutto ciò che concerne l’attività fisica ha un suo sapore, una sua anima. Raggiungere un luogo come una meta agognata che può soddisfare un desiderio, addizionando questo all’esperienza in sé del videogioco, è bello. È bello essere abbracciati da elementi esistenziali caratterizzati proprio da un essere-al-mondo che include anche il videogioco.
E questa avventura data dall’abbinare il mio piacere per la science fiction, il collezionabile e l’astronave con la scoperta e il viaggio solitario verso l’action figure migliore, penso che in qualche modo contribuisca ad arricchire l’esperienza culturale del videogioco, anche se non avviene davanti la console.

Tengo molto a precisare tali aspetti poiché in digitale tutto questo non è possibile. Restare nella propria stanza, schiacciare un pulsante per sottrarre fondi dal proprio wallet per acquistare qualcosa, è comodo ma non restituisce il senso del viaggio, l’aspetto esistenziale che il videogioco muove, a volte in modo insospettabile."

Luigi Marrone

Nessun commento:

Posta un commento